Un
rasoio usa e getta è un rasoio usa e getta: punto!
Ma
se è blu, squadrato e serve per una virile rasatura oppure è rosa,
sinuoso e lo si usa per una femminea depilazione domestica, il prezzo
di vendita può riservare delle sorprese: ci avete mai fatto caso?
Anche
cromaticamente il rasoio usa e getta è diventato simbolo di una
deprecabile politica commerciale, comunemente definita “pink tax”
o “woman tax” che consiste, in presenza di beni o servizi uguali
e diretti a consumatori di entrambi i sessi, un prezzo maggiorato
quando questi siano declinati al femminile.
E
in linea di principio, che la differenza di prezzo sia minima o
elevata poco importa, se disuguaglianza e discriminazione diventano
fonte di guadagno per supermercati e aziende che controllano il
mercato e questo nonostante le statistiche (la beffa si aggiunge al
danno) evidenzino che la disparità salariale tra uomini e donne che
svolgono le stesse mansioni, sia tutt’altro che eliminata.
In
parole povere: chi guadagna di meno, paga di più!
La
pink tax è applicata spesso su articoli o pratiche che riguardano la
cura e la bellezza del corpo (gel da rasatura, deodoranti, lavatura e
taglio capelli, medicina estetica), ma anche a settori merceologici
insospettabili come biancheria, pigiamini o giocattoli per bambini e
bambine ed è qualcosa che (armandosi di pazienza perché,
strategicamente, gli articoli sono spesso sistemati in scaffali o
reparti separati) si può verificare in un qualunque centro
commerciale.
In
California già nel 1996 è stata emanata una legge contro il
“marketing di genere”, ma autorevoli e più recenti studi hanno
evidenziato che, anche negli Stati Uniti, il problema è ben lontano
dall’essere risolto ed è anzi collegato a cifre che, nell’arco
di un anno, diventano decisamente importanti.
In
Francia, dove quando c’è da protestare in maniera convinta e
compatta non si fanno pregare, il collettivo femminista Georgette
Sand,
ha
dichiarato guerra a queste differenze, piccole o grandi che siano e,
lanciando una petizione che ha raccolto decine di migliaia di
adesioni, ha costretto il Ministero dell’Economia d’Oltralpe ad
occuparsi della questione.
In
Italia invece seguitiamo a pagare con cristiana rassegnazione (o
beata non conoscenza del problema); in questo modo tariffe e prezzi
maggiorati continuano a gravare sulle tasche delle donne e sui
bilanci delle famiglie!
Forse
sarebbe il caso di alzare in alto i rasoi ancora umidi di crema
depilatoria e farci sentire, attirando in questo modo l’attenzione
del consumatore medio, così da stimolare anche nel nostro Paese un
pubblico (e magari anche politico) dibattito sull’argomento: quanto
abbiamo pagato e quanto continueremo a pagare in più?
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