foto dal sito Luccafilmfestival |
Anno
dopo anno, il Lucca Film Festival si è meritatamente conquistato uno
spazio sempre più importante nel panorama culturale del nostro
Paese.
Tra
i personaggi arrivati a dar lustro all'edizione numero 12 (Oliver
Stone, William Dafoe, Valeria Golino tanto per citarne alcuni) c'è
Julien Temple; tra le manifestazioni collaterali che la arricchiscono
c'è la mostra “PunkDadasituation”.
Regista
di film e videoclip di grande successo, Julien Temple ha diretto nel
1980 “La grande truffa del rock'n'roll”, mitico biopic sui Sex
Pistols e sul loro guru Malcom Mc Laren.
A
Lucca, oltre che intervenire alla mostra, ha presentato il suo
documentario
“Oscenità e furore”, dove la storia della band è raccontata dal
punto di vista dei singoli membri (quelli superstiti almeno) e non
da quello fagocitante di Mc Laren.
Questo
suo essere professionalmente “recidivo” si spiega col fatto che
era presente là dove tutto successe, nella Londra del 1976 che, in
piena crisi sociale ed economica e carica di tensioni razziali, stava
per essere sottoposta alla cura da cavallo della “Lady di ferro”,
Margaret Tatcher.
Lo
spirito iconoclasta nella sua versione più schietta e autentica, la
giovanile rabbia, la voglia di sradicare i principi fondanti della
società , semplicemente, rifiutandoli erano già nelle strade;
bastava solo che l'energia venisse canalizzata in un movimento,
perché la “bomba” punk deflagrasse.
Così
andarono le cose e quel rifiuto e quella rabbia, diventarono tutt'uno
con un'iconografia che è entrata, di fatto, nella storia
contemporanea.
Abbigliamento
fatto di abiti strappati e sformati (che l'industria della moda, dal
punto di vista dell'ispirazione, ha abbondantemente saccheggiato);
ragazze dal trucco pesante; ragazzi con irte creste di capelli,
colorate in modo improbabile; orecchini e persino percing ante
litteram fatti con spille da balia; un atteggiamento e un pensare
sguaiatamente anarcoidi: il punk era qualcosa di mai visto prima, era
brutto, sporco e cattivo ed era fiero e consapevole di esserlo.
La
musica, massimo modo di espressione del movimento, non poteva
sfuggire alla prepotente voglia di cambiare.
Le
legioni di giovani che ballavano il Pogo (una specie di agitatissima
danza tribale) ai concerti di Clash, Sex Pistols, Siouxsie and the
Banshees e delle decine di band di più o meno effimera durata nate
in quegli anni, consideravano le idolatrate rockstar come vecchie
cariatidi, idoli di un regime che bisognava abbattere. Un
atteggiamento mentale che, sotto tanti punti di vista e passando
dalla musica al cinema, ricorda l'ansia rinnovatrice dei cineasti
della “Nouvelle vague” rispetto a quello che, quasi vent'anni
prima, chiamavano “Il cinema di papà ”.
Ma
con la stessa rapidità con cui divampò, l'incendio si spense!
Il
punk morì quando la società decise che, più che combatterlo, era
conveniente avvilupparlo nelle proprie spire e il movimento, più o
meno consapevolmente, si consegnò al nemico.
Il
punk morì quando energia e schiettezza si fecero maniera e la forza
eversiva divenne moda, facendolo diventare la patetica controfigura
di sé stesso.
La
mostra “PunkDadasituation”, curata da Alessandro Romanini si
tiene nel mezzanino della Fondazione Ragghianti, in via S. Micheletto
a Lucca; aperta fino al 01 maggio dalle 10:00 alle 13:00 e dalle
15:30 alle 19:30 è a ingresso libero e gratuito (come punk comanda)
e si ripropone, raggiungendo l'obiettivo, di tornare a far respirare
l'aria di quegli anni.
Operazione
questa inevitabilmente nostalgica per chi, persino nella provinciale
italietta, li ha vissuti, ma che può diventare estremamente
interessante e coinvolgente per tutti coloro che, magari da mamma e
papà , ne hanno solo sentito parlare.
Perché
se il punk è morto, di sicuro il suo spirito, ribelle e libertario,
si aggira in qualche dimenticato recesso delle nostre sonnecchianti
coscienze.
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