Quello
del lavoro e dei lavoratori ridotti a merce è ormai un concetto
superato; siamo andati oltre, siamo alla nuova frontiera della
precarizzazione, al lavoro (naturalmente sottopagato) presentato come
posta di un gioco a premi!
Siamo
alla riffa dello stage!
E'
notizia di questi giorni che un notissimo franchising di accessori
(che tra l'altro, a quanto pare, ha più punti vendita che
dipendenti, dato il corposo numero di stagisti sottopagati usati al
posto dei dipendenti fissi) ha lanciato una singolare campagna di
assunzione del personale.
Una
ragazza under trenta (obbligatoriamente fornita di laurea) deve
acquistare una borsa della collezione autunno/inverno; otterrà così
un “codice gioco” (sic!) che, insieme all'elaborazione di un
piano di comunicazione per l'azienda, le permetterà di partecipare
al prestigioso concorso che mette in palio un posto di, udite udite,
“stagista per un mese a 500 euro”!
Un
concetto rivoluzionario: non si deve lavorare per poter comprare ciò
di cui si ha bisogno, bisogna preventivamente comprare per poter
sperare di lavorare (e a quelle condizioni)!
Una bizzarria che non è purtroppo isolata; si erano inventati qualcosa di simile in una catena di supermercati e addirittura pare che un salumificio abbia, materialmente, promesso un contratto di un anno al vincitore di una tombola.
Lo
scopo dell'azienda è duplice e fin troppo scoperto: continuare a
lavorare con stagiste senza diritti e sottopagate al posto di
dipendenti regolari e vendere un bel po' di articoli, dando in cambio
la prospettiva del niente.
Tutto
questo mi provoca tanta rabbia, mista ad una profonda tristezza.
Come
siamo potuti arrivare a questo punto in un Paese che si definisce
civile?
Un
Paese la cui carta fondamentale, la Costituzione, recita all'articolo
35 che < ...La Repubblica (tra le altre cose fondata sul lavoro)
tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
Cura la
formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori... >.
E
all'articolo 36 che <... Il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un'esistenza libera e dignitosa... >.
Se avere un futuro ci sta a cuore, dovremmo cominciare a
pensare (e conseguentemente ad agire) seriamente a come invertire
questa rotta, che ci sta velocissimamente portando al disastro e alla
rovina.
Dato
che basta lo spostamento di una piccola percentuale di mercato perché
le aziende cambino politica, proverei a fare un piccolo gesto
dimostrativo: boicottare Carpisa!
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