La Grande Bellezza



 “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino è sicuramente il film italiano più noto degli ultimi anni. Arrivato al Festival di Cannes 2013 con grandi ambizioni, non ha ottenuto nessun riconoscimento, ma si è rifatto con l'Oscar per il miglior film straniero.
Dal punto di vista della narrazione è un film atipico e parlare di un film atipico non è mai facile. Si rischia di trovarsi davanti un capolavoro senza saperlo riconoscere o comprendere, così come di restare abbagliati e sopravvalutare qualcosa che il ragionier Fantozzi Ugo definirebbe “Una cagata pazzesca”!
L'impatto visivo è formidabile; il regista e il Direttore della Fotografia Luca Bigazzi hanno fatto un lavoro superbo e il film è, prima di tutto, uno straordinario esercizio di tecnica registica: da questo punto di vista Sorrentino è bravissimo, lo sa molto bene e non perde occasione per renderci partecipi della cosa.
Il film è un collage di episodi e personaggi, alcuni resi in modo pesante o stereotipato, altri caratterizzati in modo piuttosto divertente (come ad esempio il futuro Papa, fanatico di ricette di cucina); il ricchissimo cast che li interpreta, a partire da un Servillo sempre molto bravo, ma un po' troppo uguale a sé stesso, non lascia grandi tracce e forse la interprete più convincente è proprio quella da cui non ti aspetteresti gran che: una Sabrina Ferilli che mostra, oltre alle capacità attoriali, il corpo di una splendida (quasi) cinquantenne (anche se tutto sembra, meno che una persona gravemente malata).
Si ha l'impressione che, in generale, la storia e la recitazione passino in secondo piano rispetto allo smisurato ego artistico del regista che, non contento, gigioneggia pure con i dialoghi dei quali è responsabile insieme a Umberto Contarello.
Se l'intento era quello di raccontare il disfacimento morale e la decadenza della capitale dell'impero, la presenza di un ex-incitatrice all'onanismo selvaggio come Serena Grandi era più che sufficiente: il suo corpo rigonfio che si getta famelico su interminabili piste di cocaina dice, a livello simbolico, più di due ore e venti di proiezione.
A meno che non si voglia considerare il film, nella sua interezza, come un unico, barocco simbolismo; ma a che scopo impantanarsi in una palude filosofica nella quale finiremmo inevitabilmente invischiati?
Quindi se una vera e propria storia non c'è (o per quanto mi riguarda, non riesco a vederla), quello che non dovrebbe mancare è uno stile narrativo e sta proprio qui, secondo me, il peccato originale dell'opera.
Paolo Sorrentino fornisce una straordinaria prova di tecnica e di talento, che non riesce a concretizzarsi in uno stile personale e riconoscibile.
Non è un caso che per definire molte delle scene del film, la parola che arriva alle labbra sia “Felliniana” e non certo “Sorrentiniana” e l'impressione finale è che si vada ben oltre la citazione o l'omaggio e si sconfini nello scimmiottamento di qualcuno che, ahimè, è arrivato qualche anno prima (e magari con un po' più di senso artistico). In questo senso la scena dei fenicotteri rosa sul balcone è tanto emblematica quanto insopportabilmente stucchevole.
Insomma: tanto rumore per nulla!
“La grande bellezza” è un film che potrebbe essere usato nelle scuole di cinema per illustrare agli allievi la tecnica registica e l'uso delle luci e dei colori, ma la sua visione mi lascia ogni volta, come dire? ...una certa qual impressione di tempo che si poteva meglio utilizzare.



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