Emanuele,
ricercatore di Farmacia all'Università di Catania, muore di tumore
ai polmoni nel 2003; cinque anni dopo i laboratori di chimica
dell'Università verranno chiusi per problemi di inquinamento
ambientale.
Sulla
storia di Emanuele è basato il personaggio di Stella, studentessa di
farmacia che fa parte di un gruppo di lavoro che sta elaborando una
tesi: quando alcuni studenti cominciano ad accusare malesseri capisce
che in quei laboratori c'è qualcosa che non va, qualcosa che
professori e autorità universitarie tendono a minimizzare.
Anna,
l'amica del cuore, cerca di convincerla a lasciare l'Università e le
sue logiche perverse (lei lo ha fatto ed è diventata musicista in un
gruppo indie-punk della fertile scena musicale catanese), ma Stella
non vuole assolutamente interrompere gli studi e rinunciare al futuro
che sogna.
Questa è
la breve sinossi di “Con il fiato sospeso”, il mediometraggio col
quale Costanza Quatriglio si conferma uno dei migliori talenti del
nostro cinema.
Ho avuto
il piacere di conoscere di persona l'autrice, attraverso una lunga
intervista-conversazione inserita nel libro sul cinema che ho curato
e uscito nel 2013: la passione, il rigore, la preparazione e la
sensibilità che ho riscontrato in quel colloquio, li ho ritrovati
pari pari in questi 35 minuti di grande cinema, capaci di arrivare
dritti agli occhi, ai sensi e alla mente dello spettatore.
Questo
lavoro segue il bellissimo “Terramatta” (Nastro d'Argento 2013
come miglior documentario) e non è un documentario in senso stretto,
ma uno splendido ibrido, dove il materiale di cronaca è armonizzato
in una sceneggiatura e i personaggi prendono vita grazie ad attori
professionisti (strepitosa Alba Rohrwacher); un modo di espressione
innovativo, che non solo si sforza di proporre un punto di vista
scomodo e non ufficiale, ma non teme di esplorare nuovi percorsi
narrativi, cercando di affrancarsi dai soliti schemi rassicuranti,
consolidati e fin troppo sfruttati.
Probabilmente
non sono molti coloro che hanno avuto, a suo tempo, l’opportunitÃ
di vedere al cinema quest’opera, smarrita come troppe altre nei
labirinti e nelle logiche (spesso perverse proprio come quelle del
sistema universitario) della distribuzione.
Consiglio
quindi di trovare il modo di assicurarsene la visione, perché ne
vale veramente la pena.