Avete mai
avuto occasione di ascoltare “Album Concerto”, il disco dal vivo
di Francesco Guccini e “I Nomadi” di qualche decennio fa?
Presentando
al pubblico la canzone “Statale 17” Guccini cita “On the road”
di Jack Kerouac e dice: “Quella sera partimmo John, Dean ed io,
sulla vecchia Pontiac del babbo di Dean e facemmo tutta una tirata da
Omaha a Tucson.” E conclude che gli americani con la lingua ci
fregano, perché in italiano suonerebbe così: “Quella sera
partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una
tirata da Piumazzo a Sant'Anna a Pelago”: non è la stessa cosa,
l’effetto non è nemmeno lontanamente paragonabile!
Forse un
po' anglofili lo siamo tutti, ma il cinema, a volte, riesce ad essere
più forte anche dei luoghi comuni.
Tre anni
prima che le “Faster pussycat” scorrazzassero nel deserto della
California e in netto anticipo su “Easy rider”, Dino Risi
dirigeva lungo la tortuosa via Aurelia, tra la costa laziale e quella
toscana, un memorabile road movie (aridaje con l’inglese) come “Il
sorpasso”, interpretato da uno strepitoso Vittorio Gassman e da un
altrettanto bravo Jean-Louis Trintignant (che venne scelto all’ultimo
momento tanto è vero che, nelle primissime scene, venne sostituito
da una controfigura).
Sotto
la canicola di ferragosto il guascone, cialtronesco, ma
malinconicamente solo Bruno Cortona (Gassman) guida la sua
strombazzante Lancia Aurelia per le strade deserte di Roma: è alla
ricerca di un pacchetto di sigarette e di un telefono pubblico, ma
trova solo serrande chiuse.
Il
timido, serioso ed introverso Roberto Mariani (Trintignant), studente
in legge che sta preparando un esame si affaccia, fatalmente, alla
finestra; Roberto gli chiede di entrare un attimo e, per dirla col
Manzoni, lo sventurato risponde.
Il loro è
un incontro tra opposti; sono diversi per personalità , concezione
morale, aspettative, cultura ed estrazione sociale e persino le
rispettive solitudini hanno poco in comune: necessaria e persino
desiderata quella di Roberto, subita quella di Bruno.
Ed è
proprio questa profonda diversità , il combustibile che fa girare a
pieno regime il motore della storia.
Quello
che doveva essere un breve incontro prima diventa una gita fuori
porta, poi finisce per trasformarsi in una vera e propria avventura
“on the road”, da Roma fino a Castiglioncello.
E
un chilometro dietro l’altro, tra sketch e dialoghi irresistibili
(memorabile il commento di Bruno su “L'eclissi” e su Michelangelo
Antonioni) la personalità e la concezione stessa dell’esistenza di
Roberto subiscono quelle di Bruno, fino a venirne avviluppate,
trasformate e sconvolte.
E’ come
se Roberto riconoscesse nel suo compagno d’avventura quello che
Freud definiva “Il perturbante” ovvero, per farla breve, ciò che
siamo e non sappiamo di essere o, nel nostro caso, ciò che vorremmo
essere senza avere il coraggio di confessarlo.
Quando
Roberto scopre che Bruno ha anche una famiglia, verso la quale
rifiuta ogni responsabilità è come se ai suoi occhi di Dottor
Jekyll Bruno si rivelasse come un Mister Hyde, capace di ogni
nefandezza morale, un’ombra oscura dalla quale è ormai incapace di
separarsi.
La
produzione, forte del fatto che il maltempo impediva ulteriori
riprese, voleva imporre a Risi un finale edulcorato, nel quale i due
protagonisti ripartivano tranquilli e beati per la Versilia.
Era come
se Stevenson avesse scelto un lieto fine per il suo racconto; sarebbe
stato un vero e proprio suicidio letterario: non può esserci un
lieto fine per il Dottor Jekill!
Così il
regista propose al produttore Cecchi Gori un’ultima sfida: se il
giorno dopo ci fossero state le condizioni per lavorare, avrebbe
girato il SUO finale, in caso contrario il film si poteva considerare
terminato così com’era.
Cecchi
Gori accettò la sfida e l’indomani, fortunatamente, il tempo
cambiò al bello.