Sono una
fan di Andrea Camilleri e non mi perdevo una puntata delle prime
edizioni televisive de “Il commissario Montalbano”. Atmosfere,
costruzione delle storie, dialoghi, caratterizzazione dei personaggi,
tutto era indovinato e godibilissimo; la serie, col suo classico
“incedere” mediterraneo, aveva ben poco da invidiare alla
concorrenza che arrivava da Oltreoceano e ritrovarsela in prima
serata era un vero sballo!
Ma negli
ultimi tempi, a dispetto dei clamorosi successi di ascolto, mi sembra
che quella magia si sia persa e il respiro internazionale della serie
abbia malinconicamente regredito verso posizioni più casarecce e più
vicine, per intenderci, a fiction trite e ritrite come “Il
maresciallo Rocca” e simili.
Così,
giusto per riconciliarmi …con le forze dell’ordine, ho rivissuto
con grande piacere le vicissitudini investigative di un commissario
di altri tempi ne “La donna della domenica”, impeccabilmente
diretto da Luigi Comencini a metà degli anni settanta.
Ricavata
(piuttosto fedelmente a parte qualche inevitabile sfrondatura) dal
romanzo omonimo di Fruttero e Lucentini (due veri e propri pionieri
del giallo all’italiana), la sceneggiatura è un autentico
gioiellino noir, che dobbiamo a un’altra coppia di maestri (Age e
Scarpelli) e diventa terreno fertile dove i protagonisti e tutta una
serie di straordinari caratteristi (Gigi Ballista, Mauro Vestri,
Antonino Faà di Bruno, Giuseppe Anatrelli e tanti altri), possono
dare il meglio di sé (e su quanto la categoria degli attori
caratteristi abbia contribuito a far diventare grande il nostro
cinema, si potrebbe dibattere a lungo).
Certo la
Torino algida e afosa (contraddizione solo apparente) che fa da
sfondo alla vicenda, non è accattivante come una cartolina dalla
Sicilia barocca di Vigata e dintorni, ma per il resto nel film, di
quell’armamentario indispensabile a far entusiasmare i fan del
genere poliziesco, non manca nulla!
In una
normale conversazione della quale è protagonista una metropoli
americana è più adeguato italianizzarne il nome in “Boston” o
fare sfoggio della propria conoscenza della lingua inglese e
pronunciare enfaticamente “Bastn”?
Per uno
degli imperscrutabili disegni del destino, questa diatriba
linguistica fa si che due esponenti della Torino “che conta”
(interpretati da Jaqueline Bisset e Jean-Louis Trintignant) diventino
i primi indiziati per l’omicidio dello squallido architetto
Garrone, che viene assassinato nel suo altrettanto squallido studio
con un’arma del delitto davvero singolare: un grosso fallo di
pietra.
La lista
dei sospettati si allunga e le false piste si moltiplicano, ma il
commissario Santamaria-Marcello Mastroianni (muovendosi con
circospezione, ma senza farsi troppo impressionare in mezzo all’alta
società sabauda) riuscirà a trovare il bandolo della matassa.
E la
frase in dialetto “La cativa lavandera a treuva mai la buna pera”
ovvero “La cattiva lavandaia non trova mai la buona pietra”
(perché non ha voglia di fare il bucato) sarà decisiva per arrivare
alla sorpresa finale.
Questa in
sintesi, la trama di una storia che quasi obbliga lo spettatore ad
identificarsi nell’investigatore e a provare ad anticiparne le
mosse per togliersi lo sfizio di arrivare per primo alla soluzione;
una storia ricca di dialoghi effervescenti, intelligentemente ironici
e resi in maniera ottimale dagli attori.
Un film
ben fatto insomma, dove trovi esattamente quello che desideravi
trovare: che altro chiedere ad una commedia noir?