Poco
più di cinquant'anni fa usciva “Le mani sulla città ” di
Francesco Rosi, un film che potremmo considerare come il capostipite
di quel cinema di denuncia sociale e impegno civile che, nel proseguo
degli anni ’60 e nel decennio successivo, tante buone prove
avrebbe fornito di sé.
Semplificando
al Massimo, si potrebbe azzardare che rappresenti una sorta di ideale
anello di congiunzione tra Neorealismo e cinema di impegno civile e
denuncia sociale.
Girato
in un realistico bianco e nero, che contrasta con gli stereotipi di
colore e calore con cui si è soliti dipingere Napoli, può contare
su un cast assolutamente credibile (alcune facce sono da antologia),
nel quale giganteggiano Rod Steiger e l’attore feticcio del regista
Salvo Randone.
“Le
mani sulla città ” è una storia di speculazione edilizia, di
corrotti e corruttori senza scrupoli, di asservimento della politica
agli interessi particolari, di lotte di potere che vedono
immancabilmente il cittadino vittima predestinata e spettatore
impotente.
La
fine, purtroppo, è scontata: il Vescovo benedice l’inizio dei
lavori del nuovo quartiere, mentre una sovrimpressione avverte il
pubblico che “I fatti e i personaggi del film sono immaginari, ma
autentica è la realtà che li produce”.
E quella
a cui si fa riferimento è una realtà profondamente nostra, italiana
in modo viscerale e che, in cinquant’anni, è rimasta immutata o se
è cambiata lo ha fatto in peggio.
I
due sciagurati che se la ridono pensando ai lauti guadagni futuri non
appena saputo del terremoto de L'Aquila, altro non sono che la
versione moderna del politicante-speculatore Eduardo Nottola
immaginato nel film (disposto a sacrificare anche il futuro del
figlio per non compromettere gli affari).
E
il Consiglio Comunale che vediamo nella finzione cinematografica, ha
i suoi eredi in carne e ossa nei membri di una classe politica che,
mai come ai nostri giorni è precipitata tanto in basso nella
considerazione della gente comune.
“Le
mani sulla città ” è, in definitiva, una vera e propria lezione di
educazione civica o meglio ancora: una lezione di educazione alla
diseducazione civica. Dovrebbero adottarlo come strumento didattico e
proiettarlo nelle scuole, così che i ragazzi possano sapere ed
essere preparati ad affrontare quello che li aspetta!